Sulla montagna di Peio: Malga Saline, Seroden, Pian di Vioz, Tarlenta, Covel


Un itinerario ad anello, nel Parco Nazionale dello Stelvio, con partenza ed arrivo a Peio Paese, non preventivamente pianificato ma deciso di tratto in tratto, lungo il percorso.




Malga Saline.
Di buon mattino mi dirigo, con l'amico di sempre, verso Malga Saline. Prendo la “via” che, in tempi molto lontani, mi conduceva al Rifugio Mantova al Vioz. Non c'era alternativa, non esistevano gli impianti a fune che oggi abbreviano di molto la camminata verso quella meta. Allora, superato il colle di San Rocco, poco a monte dell'abitato, si saliva fino alla malga per uno viottolo che, se ben ricordo, era più erto e più stretto della strada forestale che l'ha sostituito. L'ambiente che si attraversava era comunque uguale a quello di oggi. Da allora ben poco è cambiato. Prati falciabili (all'inizio, lungo il “Percorso dei Picchi”), boschi di conifere e infine estesi pascoli attorno alla malga. Profumi antichi, di fieno, di muschio, di resina, di erbe e fiori alpestri e di genuino stallatico. “Profumo” di territorio antropizzato ma con equilibrio, nel rispetto dell'ambiente montano e delle sue risorse.
Quando, lasciata la malga, il sentiero sbuca all'improvviso sulle praterie di Seroden, il “profumo” cambia decisamente.... Quassù si respira un “profumo” ben diverso, un “profumo” che sa di luna park... E' lo stesso “profumo” che pervade quasi tutte le odierne stazioni turistiche invernali dove, in tempi brevissimi, l'antico ambiente alpino è stato snaturato per adattarlo all'andirivieni degli “sportivi” con gli sci ai piedi (taglio del bosco, morfologia del terreno alterata: piste e strade a dismisura, scavi e riporti di terra, livellamenti... inserimento nel paesaggio naturale di manufatti a lui estranei: stazioni, e piloni di sostegno degli impianti a fune, cannoni da neve, reti di contenimento, edifici di servizio, bacini artificiali...e chi più ne ha più ne metta). Ovunque ci sia “questo” turismo invernale le cose stanno così e così probabilmente staranno finché il cambiamento climatico lo consentirà, finché consentirà loro di sopravvivere... Un turismo “diverso”, ambientalmente più responsabile e sostenibile è di là da venire... se mai verrà.




Seroden – Sas de le Strie.
Ma qui siamo in un Parco Nazionale e, a mio parere, la gestione del territorio di un Parco Nazionale, non dovrebbe essere devoluta, come accade altrove, in situazioni meno protette, a chi punta solo al conseguimento di obiettivi economici ricchi e immediati ma decisamente deleteri per l'ambiente. Si potrebbe ragionevolmente ritenere che sia compito primario del Parco farsi artefice di una sviluppo turistico “diverso”, alternativo, poco invadente, più responsabilmente compatibile con la salvaguardia del “suo” territorio. Purtroppo ciò che vediamo quassù, su i pendii di Seroden e sulla dorsale del Filon degli Uomini, sembra dimostrare come anche in un Parco Nazionale sia estremamente complicato modificare l'attuale orientamento dell'economia turistica che evidentemente riesce a promuovere, anche qui, le proprie funeste scelte. Scelte, a parer mio, ambientalmente poco sostenibili, ambientalmente dannose (basta solo guardarsi attorno e non aggiungo altro). Scelte promosse (se non imposte) da “impiantisti ed affini”, sostenute da amministratori e politici (superfluo indagare sulle motivazioni) e naturalmente da una buona porzione della popolazione che purtroppo non vede sbocchi lavorativi alternativi a quelli offerti dagli stessi promotori, “impiantisti ed affini”. Scelte avvallate (sempre a pare mio) da valutazioni di impatto ambientale sorprendentemente positive. Scelte i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti. Scelte che si sono concretizzate, qui a Seroden, con l'apertura di un ulteriore tratto di pista servito da un nuovo impianto di risalita (in sostituzione di una breve e obsoleta sciovia) a riqualificazione e potenziamento, in compagnia della nuova, acrobatica funivia “Pejo 3000”, della skiarea di Pejo. Una skiarea che cartograficamente si sovrappone (nella sua totalità?) alla zona di “promozione economica e sociale” prevista nelle “zonizzazione” del Parco.
Non esistono altre strade per promuovere l'economia del posto? Sono indispensabili opere così invadenti? Opere che sono pure visivamente impattanti, anche se viste da lontano, anche se guardate dal fondovalle (un brutto biglietto da visita per chi si reca in un Parco Nazionale ritenendolo un'isola ambientalmente tutelata).
Dimenticavo. Nei pressi della stazione motrice del nuovo impianto di risalita, all'interno di un largo tornante della pista da sci che scende a Tarlenta, si trova un grosso masso a coppelle. E' il “Sas de le Strie” (sasso delle streghe). Così si legge sull'insegna in legno che ne indica la presenza.
Però null'altro si legge. Solo una essenziale, misera iscrizione senza alcun chiarimento, senza alcuna delucidazione sull'origine e sul seppure incerto significato delle coppelle. Ma si sa... oggi ciò che importa veramente, ciò che vale, sono solo le piste da sci e i relativi impianti di risalita... Quel povero masso coppellato, con le coppelle ripiene di terra proveniente della strada polverosa e per di più monco di alcune sue parti (asportate, alcuni anni fa dalle ruspe intente a spianare il versante per ricavare le belle piste), conta ben poco... e purtroppo sembra contare poco anche per il Parco...




Rifugio Doss dei Cembri – Pian di Vioz.
Proseguiamo. Scegliamo di percorrere la pista da sci (in estate per gran parte una strada sterrata di servizio) che sale allo pseudo-Rifugio Doss di Cembri. In alternativa potevamo discendere, percorrendo la stessa pista ma verso il basso, fino a Tarlenta (la località al centro della skiarea di Pejo, dove confluiscono cabinovia, funivia e seggiovie) ma la curiosità ci ha spinti verso l'alto, verso il Pian di Vioz, zona che da molti anni non vedevamo (controllavamo?). E bene abbiamo fatto perché questa ulteriore salita ha confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, le nostre iniziali valutazioni.
Ma veramente ci trovavamo all'interno di un'area protetta? All'interno di un Parco Nazionale? Di un Parco naturale? Lo sconquasso provocato da piste e impianti (in verità non tutte di recentissima realizzazione) ci appariva sempre più incompatibile con quella che ai nostri occhi doveva essere la corretta gestione di un territorio istituzionalmente tutelato, salvaguardato nella totalità delle sue peculiarità ambientali, dal paesaggio alla morfologia del terreno, dalla fauna alla flora, dalle caratteristiche pedologiche, a quelle geologiche e idrologiche...
Il danno ambientale ormai è fatto, ma... la popolazione trova di che campare e il Parco sopravvive comunque, anche in questa zona, costretto (se si vuol pensar bene) a continui compromessi che di volta in volta ne snaturano alcuni lembi... Il Parco è grande e molte altre zone, si conservano bene anche se alcune recano le inevitabili antiche ferite inferte dalla produzione di energia idroelettrica (energia comunque pulita, energia rinnovabile).
<<Il Parco cerca di difendersi, fa quello che può (sempre se si vuol pensar bene...)>> Questo ci diciamo, tra il serioso e l'ironico osservando i teli di contenimento lungo la pista, teli ben avvolti, in alto, sui loro sostegni metallici. Sono teli scuri (verde scuro?) che hanno sostituito quasi ovunque le visivamente impattanti reti rosse che un tempo addobbavano l'intero versante orlando tutte le piste. “Interventi di mitigazione” (imposti dal Parco?) tendenti a limitare, per quanto possibile, i danni, gli oltraggi al paesaggio. Interventi mitigatori analoghi a quelli che caratterizzano le sponde del laghetto artificiale di Pian di Vioz, invaso realizzato per alimentare l'artificioso innevamento invernale dei campi da sci (i cannoni “sputaneve” ormai ovunque indispensabili con il mutare del clima). Bel laghetto, ma laghetto fasullo, coronato da massi che ne vorrebbero mascherare l'innaturalità ma che, disposti così ordinatamente come sono, finiscono per ottenere l'effetto contrario. Va bene comunque, sempre meglio di niente...




Tarlenta.
Lasciamo alle spalle il piccolo specchio d'acqua e discendiamo verso Tarlenta per uno stretto e a tratti ripidissimo sentiero. Percorrendolo riusciamo finalmente a guardarci attorno, in tutta tranquillità. Possiamo finalmente scrutare il fondovalle, i lontani gruppi montuosi dell'Adamello-Presanella e del Brenta e, alle nostre spalle, le vette del Vioz, del Taviela e Cadini. Non siamo più assillati dai funesti pensieri suscitati dall'invadente interferenza visiva delle stazioni e dei piloni di sostegno degli impianti di risalita e, ovunque, di strade e di piste da sci... In primo piano solo rade boscaglie di larici e cembri, ripidi pittoreschi pendii erbosi, cespugliose macchie di rododendri in fiore. Bello.
Il sentiero sbocca sulla pista che scende dal Doss dei Cembri. Siamo ormai prossimi a Tarlenta al centro della skiarea del Parco, densa di funi e manufatti vari.
Non la raggiungiamo. Ci fermiamo a distanza regalandoci una lunga sosta e un indispensabile spuntino.




Covel.
Dalla piazzola della nostra pausa un sentiero scende alla piana di Covel. Lo prendiamo e in breve raggiungiamo la bella, bucolica spianata che nulla a che a vedere con quanto abbiamo visto ultimamente. Se non fosse per il forte ronzio provocato dallo scorrere della funivia di Pejo 3000 che, con frequente intermittenza, ci distrae e ci infastidisce, ci potremmo sentire in un piccolo paradiso terrestre. Estesi prati falciabili, racchiusi tra ripidi pendii boscosi, una cascata in questo periodo particolarmente ricca d'acqua, un piccolo pittoresco specchio d'acqua del tutto naturale. Un paradiso... un paradiso terrestre, un paradiso che è comunque ben lontano dalla sua primigenia naturalità. Pure questo è un ambiente antropizzato, piegato alle esigenze umane ma... con misura. E' un ambiente che l'uomo ha modellato e valorizzato con un lavoro secolare, che ha modificato lentamente, adeguandolo alle sue sue necessità, con interventi continui ed equilibrati per non intaccare e compromettere il patrimonio naturale...




Malga Covel – Ritorno.
A Covel in una posizione leggermente sopraelevata rispetto alla pianeggiante distesa di prati si trova una piccola malga. E' la malga delle capre. Tre rustici edifici (credo ristrutturati dall'ente Parco, con una azione encomiabile come molte altre) adibiti a ricovero estivo di un gregge di capre. Interessante attrattiva, malga e capre, per il turista interessato agli usi e ai costumi locali, alle attività tradizionali della sua popolazione... e le capre le incontriamo pure noi. Sono al pascolo in un rado lariceto ai margini della piana di Covel.
Siamo sulla via del ritorno, ci troviamo sulla strada bianca che scende a Peio Paese. Sotto di noi il versante degrada rapidamente verso Pejo Terme. Le piccole cabine dell'impianto a fune che dal fondovalle salgono a Tarlenta scorrono in continuazione sopra i prati del pendio. Alcuni contadini sono al lavoro, stanno ammassando il fieno sul rimorchio del trattore. Immagine curiosa ma suppongo non inusuale. Immagine di attività economiche molto diverse tra loro (agricoltura e turismo) ma che possono, o meglio dovrebbero non solo convivere ma pure integrarsi se condotte senza prevaricare, con moderazione, con grande rispetto, soprattutto per l'ambiente che le accoglie e che le sostiene.



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