...ovvero come un giovane selvatico riuscì a movimentare l’assopita vita del paese
A metà gennaio non gira anima viva.
Vie e piazze deserte, pensioni e alberghi chiusi, nessun turista,
nessun via vai di skibus e di auto con sci e tavole da snowboard. Il
covid impazza ovunque nel mondo, ma qui siamo un pochino più al
sicuro, siamo in zona “gialla” ed ci si può muovere con una
certa libertà; ciò nonostante in giro non c’è quasi nessuno. I
sempre meno numerosi abitanti del paesello se ne stanno ben protetti
per conto loro, chiusi in casa, più o meno timorosi del contagio e
sconcertati se non allarmati dalla eccezionale quantità di neve che
ha sommerso la valle e che ancora, di tanto in tanto, riprende a
cadere.
Immobilità e silenzio avvolgono ogni
cosa. Si potrebbe dire che “non vola una mosca” se non fossimo in inverno e quindi di mosche non se ne vedono.
Non
resta che adeguarsi, fare come fan tutti, evitare l’aria aperta e
passare la giornata chiusi in casa riprendendo qualche lettura da
tempo malamente interrotta. Un comodo divano e un corposo romanzo…
Ma che sta succedendo? Cos’è questo
parlottio appena fuori l’uscio di casa? Cosa ci fanno tutte queste
persone nel mio cortile? Un vigile urbano, due guardie forestali più
alcuni vicini di casa. Sorpresa, sconcerto, ma non solo, anche una
punta di timore… Comunque io non ho fatto nulla di male, sono una
persona del tutto inoffensiva...
Come mai questa improvvisata? Mi
dicono che un cucciolo di muflone, un agnellone di un anno, spinto
dalla fame ha abbandonato il bosco delle Pendege ed è sceso in
paese. Poco fa è stato visto varcare il cancello della mia
proprietà, però ora, poverino, sembra scomparso, non lo si vede
più... Accompagno le guardie sul retro della casa e da lì lo
scorgiamo. Lo vediamo in fondo al giardino, perso nella neve
altissima, palesemente spaventato da questo improvviso
interessamento, da questa inaspettata cospicua presenza umana. Che
fare? Niente si può fare e niente va comunque fatto, almeno per ora.
Si deve attendere sperando che, magari durante la notte, il
cucciolone ritorni dalla madre, che risalga la montagna e raggiunga
il suo piccolo gregge che, da quando si è accumulata molta neve,
staziona poco sopra il paese
Il mio cortile è nuovamente immerso
nel silenzio… Rientrato in casa, mi affaccio ad una finestra e
rivedo il piccolo di muflone. Rassicurato, si rifugia nella legnaia
del confinante dopo aver oltrepassata la recinzione completamente
coperta dal candido manto. In quella legnaia, controllato di tanto in
tanto da una guardia forestale, resterà per qualche tempo. Vi
trascorrerà almeno due notti, uscendone solo per cercare qualche
filo d’erba lungo le vie del paese e i bordi delle abitazioni anche
le più isolate. Io lo rivedrò più volte, nel mio cortile, intento
a brucare delle verdastre-brunastre escrescenze tra i sassi del
muretto di confine, nei pressi della legnaia e sotto la mia auto.
Poi, allontanatosi definitivamente dai dintorni della mia casa, verrò
comunque costantemente ragguagliato (non solo direttamente da parte
di più persone ma pure via Facebook) sui suoi spostamenti
all’interno dell’abitato. Non c’era alcun dubbio che le imprese
del mufloncino stavano decisamente destando il paese dal suo
invernale letargo. Dov’è il “povero” cucciolo, dove si trova,
dove è stato visto l’ultima volta? Sta bene? Quali i pericoli ha
corso nel suo vagare per vie e le piazze?
La vita del paese si era
improvvisamente rianimata nel seguire le vicissitudini di questo
affamato selvatico. C’è chi diceva d’aver udito durante la notte
il disperato belare di sua madre, chi si diceva estremamente
preoccupato per la sua sorte: "vagando per il paese potrebbe
venire travolto da un’auto", chi tentava di saziarlo con delle mele
(con modesti risultati per mia diretta esperienza) o più
proficuamente con del fieno destinato ai conigli (da molti anni
bovini in paese non se ne allevano più ed è difficile trovare erba
secca) e infine chi si mostrava oltremodo addolorato per la triste
condizione di questo tenero cucciolone, un vero baby orfano di
mamma...
Alla fine (così almeno mi è stato riferito) l’agnellone
verrà catturato delle guardie forestali dotatesi finalmente
dell’apposita rete e sarà trasportato nel recinto dell’Area
Faunistica di Peio… dove ora si trova e dove spero possa rimanere
solamente per un breve periodo evitando di trasformarsi in una
permanente attrattiva per turisti e visitatori di passaggio.
Salute e libertà per questo giovane muflone che il coraggio e
l’intraprendenza unite all’intervento dell’uomo hanno salvato
da un tragico destino. Quel destino di morte per stenti che il duro
inverno ha sicuramente riservato a molti altri mufloni suoi simili,
ma non solo, anche a molti caprioli e cervi. Una eliminazione dei
fragili portata a termine direttamente da madre natura, una
soppressione che nell’ottica umana, nel comune e più immediato
modo di sentire, dispiace e impietosisce ma che sta “nell’ordine
delle cose”. Una selezione naturale che è necessaria, per non dire
auspicabile e che dovrebbe andare, almeno per un certo periodo, a
sostituirsi all’artificiosa gestione della fauna selvatica
praticata con la caccia. Attività umana, quest’ultima non sempre
qualitativamente efficace (sicuramente meno della selezione naturale)
anche perché, talvolta, chi la esercita tende più a soddisfare il
proprio bisogno di avventura (e altro) che a conseguire quello che
dovrebbe essere l’unico obiettivo della caccia: una corretta
selezione della fauna selvatica. Ed è strano come, tra molti degli
abitanti delle terre alte, la morte dei selvatici dovuta alle
condizioni climatiche avverse colpisca molto di più, impietosisca e
turbi molto di più, rispetto alla morte propinata direttamente
dall’uomo con la cruenta pratica della caccia.
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