Da Cortina di Vermiglio alla “Colem de Boai”

 ...passando tra i masi di Dasarè                                          


Lunga passeggiata in compagnia di due amici su di un agevole anche se a tratti alquanto ripida strada. Strada inizialmente asfaltata, fino a Dasarè, e in seguito sterrata (forestale) fino alla “Colem de Boai” (la  strada prosegue fino a Malga Boai e anche oltre) a quota 1480, dove si diparte il sentiero dei minatori che raggiunge il paese di Comasine in Val di Peio (sentiero da poco riattato e che mi riprometto di percorrere durante la prossima estate).



Una bella camminata che ha richiesto un intero pomeriggio di fine ottobre al culmine del periodo del cosiddetto foliage, nel pieno della spettacolare metamorfosi del bosco, dei suoi larici e di tutte le sue latifoglie. Un fenomeno naturale di breve durata il foliage, una mutazione del colore delle foglie che, prima di cadere, da verdi diventano direttamente gialle, arancioni, rosse o marroni a seconda dell’essenza forestale o passano da una tinta all’altra, via via, a poco a poco, con il trascorrere dei giorni. Una esibizione che rende il paesaggio fiabesco e particolarmente romantico.


L’apice dell’esibizione offerta dal foliage si raggiunge dove le latifoglie si fanno più numerose cioè all’altezza dei rustici edifici di Dasarè al termine della strada asfaltata e...  Ed è qui che mi permetto di abbandonare (in verità senza alcun riguardo) la compagnia dei miei due amici rinunciando alle chiacchierate che finora ci hanno tenuti vicini. Mi discosto e proseguo da solo, separatamente. Porto a termine l’ulteriore salita e la successiva discesa in solitaria, materialmente vicino agli amici ma non partecipe, distante dai loro discorsi, esclusivamente coinvolto dalla peculiare bellezza autunnale del panorama che via via mi si offre alla mia vista… Osservo e fotografo… e ancora fotografo... sotto lo sguardo alquanto sconcertato dei miei due amici.


Ma non solo… nel percorrere la larga strada forestale (il cui tracciato ricalca dei vecchi sentieri o delle mulattiere che, un tempo non lontanissimo, dal paese salivano fino ai campi coltivati più alti, ai boschi, ai “ monti segativi” e ai pascoli in quota) affiorano spontanee, tra uno scatto e l’altro, delle considerazioni sul “mondo di ieri e su quello di oggi”. Affiorano nella mia mente di fronte ad un ambiente che sta rapidamente mutando... e non intendo mutando per l’effimera seppure bellissima metamorfosi del “foliage”, bensì per la metamorfosi ben più importante, incisiva e duratura dovuta all’abbandono della campagna coltivata che mi circonda e al suo conseguente naturale rimboschimento.



Un tempo lontano (ma non lontanissimo... io stesso ne ho molti ricordi) buona parte della popolazione locale viveva quasi esclusivamente di agricoltura, una agricoltura povera di pura sussistenza. Coltivava ogni appezzamento di terreno, anche il più piccolo lembo di terra ricavato disboscando e terrazzando i pendii della montagna. Lo stesso ripido versante sotto la strada che sto percorrendo, veniva sfruttato per intero, era costellato da minuscoli campi sostenuti da muretti a secco, fin sul fondovalle, dove passava e passa la strada del Tonale e scorre il torrente Vermigliana. Quei campi, quei fazzoletti di terra fertile rubati alla montagna oggi non esistono più (e i bei muretti a secco rovinano a poco a poco). Stanno scomparendo inghiottiti dalla boscaglia che riconquista ciò che l’uomo, nel corso dei secoli, le aveva strappato con immani fatiche.




Oggi si sfruttano solamente i prati più comodi, si utilizzano solo quei prati falciabili che si allargano nelle zone pianeggianti o non troppo ripide e comunque lavorabili con l’ausilio di trattori e di altri congegni meccanici. I campi sono quasi totalmente scomparsi e si produce solo fieno, foraggio destinato ai pochi e moderni allevamenti bovini sparsi un po’ ovunque nella valle.




Il paesaggio si è decisamente trasformato, semplificato: solo prato e bosco, prati uniformemente verdi e boschi… boschi antichi ma anche boschi in via di formazione che occupano gli incolti, che riconquistano le superfici che erano state sottratte. L’alternarsi pittoresco tra prati, antichi frutteti, seminativi e orti sul fondovalle e sui pendii più solatii, il rosso e l’azzurro del papavero e del fiordaliso nei campi dorati, il volo dei maggiolini nelle serate primaverili e delle lucciole nelle notti estive, sono solo lontani ricordi...




Di fronte alle sempre più estese boscaglie che ammantano la valle (stupende in questo periodo dell’anno), alle superfici a prato sempre più ridotte, alla totale assenza di campi coltivati, davanti alla dilatazione, spesso disordinata, dei centri abitati, non posso non riflettere su ciò che per la valle ha comportato e potrà comportare la mutazione economica degli ultimi decenni.



Ed eccomi quindi a considerare (tra uno scatto fotografico e l’altro e due striminzite chiacchiere con gli amici) come il “progresso”, le luci abbacinanti della corsa al benessere abbiano condotto a scelte di “sviluppo” non sempre sufficientemente ponderate… La prosperità dei “tempi nuovi” ha infatti comportato uno scadimento ambientale dovuto al totale abbandono delle tradizionali pratiche agricole (sempre attente alla cura e alla manutenzione del territorio) e, soprattutto, in alcune zone, un notevole degrado connesso ad un eccessivo per non dire scandaloso consumo di suolo, ad un decadimento paesaggistico e naturalistico a favore di un turismo troppo invadente e troppo legato alle mode del momento.




Va comunque detto che l'odierna economia, in gran parte a trazione turistica, è comunque molto più ricca dell’obsoleta (decisamente superata… e sono trascorsi solo pochi decenni…) secolare economia agricola che da sempre è stata l’unico sostentamento di questa come di molte altre terre alpine... Ma va anche sottolineato che questa nuova ricca economia si potrebbe rivelare parecchio fragile essendo inevitabilmente condizionata da ciò che accade al di fuori dei confini della  valle (al contrario di quella precedente, molto povera, di pura sussistenza, ma più stabile e resiliente ad eventuali accadimenti negativi  esterni). Potrebbe essere sufficiente una congiuntura economica negativa o semplicemente il mutare delle mode a metterla in crisi decimando l’afflusso dei turisti. Il benessere complessivo di una intera valle potrebbe venire compromesso dalla mancanza di alternative produttive. Ne è una conferma concreta ciò che stiamo vivendo, ciò sta accadendo con la pandemia da Covid 19 che ha già sostanzialmente annullato i proventi di una intera stagione turistica invernale e che potrebbe comprometterne anche altre.



Senza dimenticare che il il futuro del turismo (in particolare della stagione turistica invernale che si è voluta legare, quasi esclusivamente, alla pratica dello sci) è nelle mani di un cambiamento climatico sempre più allarmante. Forse un'economia meno unidirezionale, più diversificata, che incentivi tutti i settori produttivi e non guardi solo a quello turistico potrebbe riservare un futuro economicamente più stabile e sicuro.



Così, tra uno scatto fotografico e l’altro, scatti sempre accompagnati dalle mie considerazioni (considerazioni solo di tanto in tanto condivise con i miei amici) faccio ritorno a Dasarè dove, dopo aver curiosato a lungo all’interno di una piccola stalla di ovini (ovini ormai unici fruitori di ciò che cresce nei campi dismessi del versante), inizio la ripida discesa verso Vermiglio, paese che raggiungo con gli amici quando le ombre sono lunghe e il sole sta tramontando dietro i monti del Tonale... E con la scomparsa del sole tramontano pure la spettacolare bellezza del cosiddetto “foliage” e si chiudono anche  le mie “cervellotiche” riflessioni...

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Quel cambiamento climatico che in un futuro non lontanissimo potrebbe condizionare negativamente l’attività turistica invernale sta già palesando i suoi effetti anche in un altro contesto, in un altro settore economico di grande importanza per le nostre vallate alpine, quello relativo alla pruduzione di legname in ambito selvicolturale.

Gli alberi del bosco sono inevitabilmente e da sempre soggetti agli attacchi di vari parassiti.  L'abete rosso viene soprattutto parassitato dal bostrico (Ips Typographus) un coleottero scolitide. Ultimamente questo parassita (di cui ho fotografato le larve sotto la corteccia di alcuni abeti rossi schiantati nei pressi della Colem di Boai) ha trovato nelle piante abbattute dalla tempesta Vaia e abbandonate sul terreno, una situazione favorevole ad una sua eccezionale pullulazione che gli ha permesso di attaccare anche moltissimi alberi in piedi, abeti vivi ma  debilitati, fragili, privi di adeguate difese naturali probabilmente anche a causa degli squilibri meteorologici provocati dal cambiamento climatico. Un cambiamento climatico che potrebbe anche essere all'origine della stessa tempesta Vaia o quantomeno della disastrosa intensità con cui si è manifestata: un possibile ulteriore effetto della mutazione del clima che, cosa ormai certa e risaputa, tende anche ad aumentare nella frequenza e nella pericolosità molti dei fenomeni meteorologici avversi.

Cosa fare? Se sono sicuramente indispensabili tutti gli interventi di mitigazione agli attacchi parassitari (rapido sgombero del legname schiantato…) e di adeguamento delle formazioni boschive esistenti e di nuovo impianto alla nuova situazione climatica (abetaie non più pure e coetanee ma boschi più resistenti, disetanei e misti, ricchi di latifoglie, aceri, faggi, sorbi, frassini, ciliegi..…), dovrebbero essere ancora più indispensabili dei drastici interventi sull’origine del problema, sulle cause del cambiamento climatico (portatore di squilibri e di fenomeni climatici estremi) che va frenato e limitato immediatamente e con decisione… Però in quest’ultima direzione, molte chiacchiere ma  ben poco si fa di concreto...  



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