Il lago di Covel, nell’area trentina del Parco Nazionale dello Stelvio, è un minuscolo specchio d'acqua con, nei suoi dintorni, una cascatella e una malga per le capre. Posto ai margini di una pianeggiante distesa di prati falciabili, dista poco più di un chilometro dall'abitato di Peio Paese.
La strada che porta al lago si imbocca ai piedi del campanile della chiesa del paese, campanile su cui spicca un gigantesco affresco di San Cristoforo. Il tratto iniziale, asfaltato ma molto ripido, conduce sulla collinetta di San Rocco dove una cappella e l'ex cimitero di guerra austroungarico meritano una sosta e una attenta visita per il loro notevole interesse sia storico che architettonico e paesaggistico.
La strada, che ben presto si fa sterrata, prosegue meno ripida, sempre agevole, larga e soprattutto molto panoramica. Taglia un rado lariceto fino a raggiungere alcuni vecchi masi e quindi, poco più avanti, l'ampia spianata prativa di Covel. Oltre i prati, su di uno sfondo roccioso, già si intravede la piccola cascata che con il laghetto caratterizza la località. La si raggiunge costeggiando il pianoro lungo il bordo del versante boscoso percorrendo uno stretto sentiero ai piedi della montagna di Tarlenta. Di tanto in tanto, si inizia anche a scorgere il laghetto di Covel posto in una minuscola depressione.
Dalla cascata si arriva rapidamente al lago e lì, sostando sulle sue sponde, si possono ammirare le cime che vi specchiano: il Palon di Val Comasine che incombe su Peio Fonti, Cima Forcellina e il Monte Redival che incombono sulla Val del Monte e sul lago artificiale di Pian Palù. Riprendendo il cammino si arriva rapidamente alla vicina Malga Covel che, durante la bella stagione, ospita numerose capre per la gioia dei turisti e dei buongustai amanti del formaggio e della ricotta caprina di montagna.
Infine, prima di imboccare la strada bianca del ritorno e per chiudere in bellezza il breve giro ad anello attorno alla prateria di Covel, conviene percorre una mulattiera in lieve discesa, che, superati alcuni rustici masi ben ristrutturati, conduce in uno stupendo rado lariceto. Qui vale la pena di sostare nuovamente immersi nella magica ombrosa atmosfera di quel boschetto di larici secolari.
Ma veniamo all’attualità ovvero alla mia recente passeggiata alla cascata e al laghetto di Covel. Il panorama, lungo l'intero percorso è, come al solito, sempre accattivante… ma forse anche di più in questo particolare periodo dell’anno… Siamo infatti in autunno, all’inizio dell’autunno, e come sempre accade in questa stagione anche quassù, ai piedi delle vette che si spingono oltre i 3500 metri, siamo immersi in un paesaggio che altro non è se non una continua esplosione di luce e di colore.... sole basso, raggi radenti, chiarori intensi e ombre lunghe… colori caldi, forti e decisi sotto il cielo sereno ma, e non è il caso in questione, anche colori soffocati quando le nubi nascondono il sole o la nebbia ne spegne i raggi. Oggi, ai primi di ottobre, al verde intenso degli abeti e a quello appena più smorto dei prati ben rasati, si contrappone il giallo delle betulle, l'arancio bruciato dei sorbi e il verde, che inizia a sbiadire virando pian piano all’ocra, dei larici, diffusi quassù in ogni dove, sia sparsi nei pascoli alberati, sia molto più fitti nei boschi che rivestono i versanti... E poi l'azzurro del cielo sereno che si specchia elle acque scure del piccolo lago...
Un ambiente solare, ricco di interessanti effetti cromatrici, una ricca tavolozza di tinte autunnali che mi ha accompagnato durante l’intero tragitto. Tutto molto bello, molto suggestivo... peccato che lassù, verso il dente del Vioz e i Crozi del Taviela, la continuità dell’azzurro del cielo venga bruscamente interrotta, venga attraversata da delle invadenti funi nere che assieme ai loro colorati distanziatori fanno parte dell’imponente impianto di risalita realizzato pochi anni fa nel bel mezzo del Parco Nazionale dello Stelvio. Non è un bel vedere come non lo sono un enorme traliccio sulle rocce e la stazione di arrivo della funivia a quota 3000 m slm (per fortuna, vista la stagione, l’impianto non è in funzione, non ci sono le cabine e non si ode quindi il fastidioso e inquinante ronzio legato al loro passaggio). Anche le reti di contenimento di un rosso impattante, ai margini delle piste da sci che tagliano il verde versante boscoso non sono sicuramente un bel vedere...
E’ la “bella impronta” lasciata dallo “sviluppo” del turismo invernale di massa che con l’immissione di attività e strutture estranee all’ambiente naturale ha alterato o meglio compromesso i fondamenti sui quali il Parco è nato e ai quali dovrebbe costantemente fare riferimento. E’ vero che parte della popolazione locale vive di turismo e che quindi, almeno in una certa (ben ponderata) misura sono necessari piste e impianti di risalita ma è pure vero che un parco naturale non dovrebbe avere nulla a che fare con tutto questo. La convivenza tra le due diverse esigenze appare quindi difficile e sicuramente foriera di ambiguità. A questo punto si potrebbe addirittura arrivare ad auspicare una disaggregazione dal territorio del Parco delle zone in quota eccessivamente antropizzate da uno sfruttamento turistico troppo impattante… Sì, perché altrimenti si potrebbe anche ritenere che il Parco Nazionale dello Stelvio, svuotato dei suoi principi fondanti, dei suoi obiettivi di salvaguardia ambientale, stia solo assumendo il ruolo di bella etichetta, di “specchietto per le allodole” proponendosi esclusivamente come un altisonante richiamo pubblicitario al servizio di una attività turistica fin troppo invadente, scordando totalmente quella che avrebbe dovuto essere il suo vero ruolo. la sua vera funzione...
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