Sono nella bellissima Val di Saènt… Ho raggiunto la Malga di Prà di Saènt salendo per il sentiero che conduce al Rifugio Dorigoni.
Ho lasciato la macchina nel parcheggio Ramoni al Còler e ho
raggiunto a piedi sulla strada bianca la Malga Stablasolo. Ho poi scelto il sentiero
panoramico sulla sinistra orografica del Torrente Rabbies che porta in pochi
tornanti ai piedi delle due spumeggianti Cascate di Saènt ricongiungendosi,
poco oltre, con il sentiero più diretto che sale sul versante opposto partendo dal
centro visitatori di malga Stablet.
Rimontato il promontorio rocciosi del Dosso della Croce con il suo Punto di Avvistamento del Parco, sono sceso in breve sull’esteso e pianeggiante Prà di Sàent. Visione idilliaca: ampissima radura attraversata dalle anse sinuose del Rabbies, un pascolo ambrato, bruciato dai primi freddi dell’autunno, regno delle marmotte durante la stagione estiva.
Ai lati versanti ripidi, coperti da lariceti dorati, interrotti da vertiginose pareti rocciose, solcati da nudi canaloni che scendono ripidi dai pascoli d’alta quota. Sullo sfondo le cime di Sternai che coronano il Rifugio Dorigoni. In fondo alla radura l’antica Malga del Prà di Saent dove mi trovo. Qui ha inizio la “Scalinata dei Larici Monumentali”, un percorso di quasi un chilometro e mezzo con un dislivello di circa duecento metri che sbocca più a monte, a malga Vècia, nei pressi del sentiero per il Rifugio Dorigoni. Sono stanco, sarà forse l’età… le fatiche dei giorni passati… oggi proprio non va…
Decido comunque di percorrere almeno una parte di questo itinerario didattico-naturalistico che porta alla scoperta di una ventina di giganteschi larici plurisecolari cresciuti quassù, tra i sassi di un macereto a 1900-2000 metri di quota. Coraggio! Mi avvio per il sentiero che per lunghi tratti si rivela una vera e propria scalinata realizzata sistemando opportunamente le pietre e gli sfasciumi dell’impervio versante.
Ma ecco i primi giganteschi larici… Sembra incredibile che questi larici, a queste quote e su di un terreno magro e sassoso, si siano sviluppati in modo così stupefacente raggiungendo circonferenze e altezze ragguardevoli anche per gli alberi più fortunati, nati e cresciuti in ambienti decisamente più favorevoli. Ad ogni albero monumentale è stato assegnato un nome che ne evidenzia le specifiche peculiarità offrendo nel contempo, al visitatore, un contatto fantasioso ed emozionale immediato con i giganti della montagna: Due Vite, Grande Piede, Grande Arco, Vive con la Roccia, Cinque Tronchi, Il Larice delle Aquile, Il Dinosauro… Questi i nomi di alcuni dei larici che ho potuto ammirare…
Leggendo le tabelle esplicative poste al piede di ciascun “gigante” ho conosciuto la loro storia secolare, le vicissitudini di una lunga vita trascorsa su questi monti, le strategie di sopravvivenza in un ambiente così sfavorevole… Le forme dei tronchi, dei rami, della chioma, raccontano, se si sanno interpretare, di vicende e di accadimenti lontani che hanno contrassegnato la lenta crescita di queste piante costrette ad adattarsi per superare gli inevitabili eventi ostili di un ambiente impervio e particolarmente difficile.
Rimontato il promontorio rocciosi del Dosso della Croce con il suo Punto di Avvistamento del Parco, sono sceso in breve sull’esteso e pianeggiante Prà di Sàent. Visione idilliaca: ampissima radura attraversata dalle anse sinuose del Rabbies, un pascolo ambrato, bruciato dai primi freddi dell’autunno, regno delle marmotte durante la stagione estiva.
Ai lati versanti ripidi, coperti da lariceti dorati, interrotti da vertiginose pareti rocciose, solcati da nudi canaloni che scendono ripidi dai pascoli d’alta quota. Sullo sfondo le cime di Sternai che coronano il Rifugio Dorigoni. In fondo alla radura l’antica Malga del Prà di Saent dove mi trovo. Qui ha inizio la “Scalinata dei Larici Monumentali”, un percorso di quasi un chilometro e mezzo con un dislivello di circa duecento metri che sbocca più a monte, a malga Vècia, nei pressi del sentiero per il Rifugio Dorigoni. Sono stanco, sarà forse l’età… le fatiche dei giorni passati… oggi proprio non va…
Decido comunque di percorrere almeno una parte di questo itinerario didattico-naturalistico che porta alla scoperta di una ventina di giganteschi larici plurisecolari cresciuti quassù, tra i sassi di un macereto a 1900-2000 metri di quota. Coraggio! Mi avvio per il sentiero che per lunghi tratti si rivela una vera e propria scalinata realizzata sistemando opportunamente le pietre e gli sfasciumi dell’impervio versante.
Ma ecco i primi giganteschi larici… Sembra incredibile che questi larici, a queste quote e su di un terreno magro e sassoso, si siano sviluppati in modo così stupefacente raggiungendo circonferenze e altezze ragguardevoli anche per gli alberi più fortunati, nati e cresciuti in ambienti decisamente più favorevoli. Ad ogni albero monumentale è stato assegnato un nome che ne evidenzia le specifiche peculiarità offrendo nel contempo, al visitatore, un contatto fantasioso ed emozionale immediato con i giganti della montagna: Due Vite, Grande Piede, Grande Arco, Vive con la Roccia, Cinque Tronchi, Il Larice delle Aquile, Il Dinosauro… Questi i nomi di alcuni dei larici che ho potuto ammirare…
Leggendo le tabelle esplicative poste al piede di ciascun “gigante” ho conosciuto la loro storia secolare, le vicissitudini di una lunga vita trascorsa su questi monti, le strategie di sopravvivenza in un ambiente così sfavorevole… Le forme dei tronchi, dei rami, della chioma, raccontano, se si sanno interpretare, di vicende e di accadimenti lontani che hanno contrassegnato la lenta crescita di queste piante costrette ad adattarsi per superare gli inevitabili eventi ostili di un ambiente impervio e particolarmente difficile.
Tutte le fotografie in Google Foto
Questa una parte della tabella introduttiva all’itinerario dei larici
monumentali (un clic sulla foto per ingrandire).
Tra scienza e poesia…
Un nome per ogni “gigante”… un nome fantasioso, un approccio
emozionale… ma un approccio che, nel contempo, delinea concisamente ciò che più
caratterizza la pianta, le forme che ha assunto nel tempo, specchio degli
eventi ostili subiti, che vengono scientificamente ricostruiti e descritti ai
piedi dell’albero nella tabelle esplicative.
Questa la descrizione del “Grande Piede”, un larice di 300
anni con un tronco enorme alla base di quasi 6 metri di circonferenza: “E’
nato in mezzo ad un canalone poco sotto la parete rocciosa, questo larice, e
chissà quante pietre gli sono capitate addosso nel corso degli anni. La sua
parte più vulnerabile non poteva perciò essere che il piede, il suo tallone
come quello del mitico Achille. E così lo ha ingrossato a dismisura, ad ogni
botta un po’ di più, in modo da assicurarsi un sostegno sicuro anche se il
tronco è ormai in buona parte marcio e ospita sul lato a monte una bella
colonia di funghi bianchi che vivono sul legno che decompongono. Non è molto
alto questo larice, poco più di venti metri. Ma si capisce, lui le migliori
cure le ha riservate al suo piede. Quello sì che è diventato grande!“
2 commenti:
Danke für diesen wunderschönen Bildbericht
trovo molto belli e interessanti i suoi blog. Complimenti per la competenza e l'amore per i nostri luoghi.
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