Sulle alte praterie del Parco dello Stelvio









E' inevitabile quasi fatale! Anche quest'anno la mia ormai irriducibile “passione” mi porta a salire, a dire il vero con sempre maggior fatica, sugli alti pascoli della Val del Monte, nel Parco Nazionale dello Stelvio, per controllare la presenza e la posizione dei cervi, nell'attesa di poterli scrutare più avanti, tra pochi giorni, nelle loro autunnali ardenti esibizioni.




Siamo al termine della prima decade di settembre e quindi siamo vicini al periodo degli amori che vede gli instancabili maschi indaffarati a raccogliere e raggruppare le femmine, a controllarle e proteggere dalle avance dei rivali ma sarà solo nei prossimi giorni, a cavallo tra i mesi di settembre e ottobre, che si potranno udire i possenti bramiti dei cervi dominanti diffondersi per l'intera valle...



Ma purtroppo i bramiti arriveranno quasi esclusivamente dai boschi e dai pascoli compresi dentro i confini del Parco dello Stelvio. Quasi esclusivamente. Si perché solo nel Parco dello Stelvio la presenza del cervo ha raggiunto una densità adeguata, mentre nelle zone limitrofe, soggette ad una intensa pressione venatoria (atta a soddisfare una “passione” ben diverse dalla mia ed i ben consolidati interessi economici ad essa connessi) la presenza del cervo è sicuramente molto più contenuta.





Strana situazione quella che via, via si è venuta a creare nella nostra valle. Molti anni fa ho potuto assistere al ritorno del cervo nella nostra valle ed al suo successivo insediamento a spese purtroppo del suo piccolo competitore, il capriolo, un tempo numerosissimo e ora ridotto ad un ruolo decisamente secondario, un ruolo di semplice comparsa.

Ho poi assistito alla esplosione demografica del cervo che nel Parco ha raggiunto, in assenza di predatori selvatici, una densità al limite della sopportazione per l'ambiente sia boschivo che agricolo. Una densità eccessiva che stava compromettendo la normale crescita del bosco, la sua rinnovazione, la riproduzione delle essenze forestali, i raccolti dei prati e delle campagne coltivate e soprattutto il benessere, le salute, il normale sviluppo della stessa popolazione del cervo e degli altri ungulati. Poi la grande nevicata dell'inverno 2008-2009 ha risolto il problema... per il momento. La natura ha provveduto a ristabilire il giusto equilibrio eliminando la maggior parte dei cervi senza l'artificioso intervento venatorio che sembrava ormai inevitabile.




Oggi la consistenza numerica del cervo nel Parco sembra nuovamente in costante aumento (grazie anche alle ultime stagioni climaticamente molto favorevoli per la sopravvivenza e la riproduzione di questo ungulato) pur rimanendo, per ora, ancora molto lontana da quella di un tempo. Una consistenza probabilmente ancora compatibile con l'equilibrio complessivo dell'ambiente Parco.




E oltre i confini del Parco? Nelle zone aperte alla caccia? I cervi certamente ci sono ma il loro numero e la loro visibilità sono stati e tuttora sono molto contenuti da una pressione venatoria che oso tranquillamente definire eccessiva. Sono infatti convinto che i versanti boscosi della valle potrebbero tranquillamente ospitare un numero maggiore di cervi senza sconvolgere l'equilibrio ecologico del nostro territorio .




Quanto detto vale a maggior ragione per un altro ungulato, il capriolo, già in grande difficoltà dopo l'insediamento del cervo e la sciagurata immissione (da parte del fanatismo venatorio e limitata fortunatamente solo ad alcune zone), del muflone, specie certamente non autoctona. Così la popolazione del capriolo, tra cacciatori, cervi, e mufloni è ormai ridotta ai minimi termini è bene sarebbe interrompere le catture di questo piccolo ungulato, almeno per un certo periodo.


Non sono un esperto di gestione della fauna selvatica ma il buon senso e la lunga familiarità con il bosco e la montagna mi suggeriscono che qualcosa non va. Nelle aree protette del Parco, l'uomo non può intervenire (sostituendosi con prelievi mirati ai predatori selvatici, “da sempre” assenti anche nel bel Parco) nel limitare l'abnorme crescita delle popolazioni di ungulati (soprattutto di cervi) il cui controllo è ”affidato” esclusivamente ai negativi andamenti meteorologici invernali e primaverili, sempre più rari con il cambiamento climatico in corso e il conseguenti aumenti delle temperature e attenuazioni delle precipitazioni nevose.


Al contrario all'esterno del Parco viene esercitata una pressione venatoria decisamente eccessiva, una pressione che limita oltremodo la presenza degli animali selvatici in un territorio che ne potrebbe ospitare molti di più rimanendo comunque in equilibrio anche in assenza dei grandi predatori. Tutto questo a causa di criteri di prelievo, a mio giudizio, alquanto opinabili, che sembrano orientati più a soddisfare il remunerativo “diletto” dei cacciatori che la ricerca di un armonioso equilibrio ecologico... criteri che appaiono più orientati a soddisfare l'interesse di chi sfrutta economicamente la pratica della caccia che indirizzati al conseguimento di un corretta proporzione numerica nelle e tra le popolazioni di animali selvatici. Così a me sembra...


Soluzioni? Difficili, quasi impossibili... Illusorio modificare la “mentalità” dei cacciatori e i conseguenti sistemi con cui si svolge la secolare, tradizionale consuetudine della caccia nei nostri territori. Difficile pensare che la “caccia” sostanzialmente (anche se non dichiaratamente) vissuta dalla maggioranza dei praticanti come soddisfazione di una (primitiva) “passione”, come un'avventura in cui primeggiare, come la ricerca di un bel “trofeo”, come un infantile gioco a guardie e ladri, sostanzialmente come un diletto (l'ho appurato nei miei numerosi occasionali colloqui con i cacciatori... dove si ha la netta sensazione che il parlare di “gestione delle risorse faunistiche” diviene spesso, da parte loro, solo un alibi pretestuoso)...



... che la “caccia”, dicevo, possa in futuro venire intesa semplicemente come un'azione utile, un'attività molto spiacevole (uccidere non è certo un diletto) ma purtroppo necessaria in talune situazioni (si auspica rare situazioni), una pratica quasi di volontariato da utilizzare in circostanze straordinarie ma comunque una pratica indispensabile per ricondurre una popolazione selvatica nei limiti numerici compatibili con l'ambiente e con la sua stessa sana sopravvivenza (mi piace dire un'azione paragonabile allo spegnimento di un incendio da parte del pompiere volontario...).



Limiti numerici di tutte le popolazioni di animali selvatici, non solo di ungulati, limiti compatibili con l'equilibrio ecologico del territorio, limiti che sui nostri monti sono ben più alti degli attuali, almeno a parer mio... Sì, sui nostri impoveriti monti... dove la concentrazione di animali selvatici è sempre più scarsa, ridotta sia da una eccessiva antropizzazione legata al turismo, sia dalla necessità di soddisfare l'appetito delle lobby dei cacciatori, produttori e commercianti di armi, binocoli, cannocchiali e accessori vari.


E poi... e non è una provocazione, perché non applicare i criteri del mantenimento di un corretto equilibrio ecologico con dei prelievi ben studiati anche dentro i confini del Parco? Anche all'interno del Parco dello Stelvio mancano infatti i predatori selvatici, l'equilibrio naturale è stato alterato, e quindi inevitabilmente si creano degli squilibri che l'uomo moderno dovrebbe tentare di correggere. Non starò quindi a scandalizzarmi se un giorno, spero molto lontano, si dovesse intervenire anche nel Parco, abbattendo (ma molto meglio prelevando ed esportando in altre zone) un certo numero di selvatici.



Sono ben altre le iniziative che ritengo veramente scandalose dentro i confini del Parco... Penso all'eccessiva occupazione e antropizzazione dei suoi preziosi ambienti con insediamenti, piste da sci impianti di risalita fino ai 3000 m di quota... Un Parco non è un vero Parco solo perché non vi si pratica la caccia... troppo semplice, troppo riduttivo! Un Parco così elementarmente inteso rischia di diventare solo una bella etichetta, un vuoto insieme di slogan con cui attrarre ignari e inconsapevoli visitatori, rischia di diventare un simulacro di Parco al servizio esclusivo degli interessi legati al turismo di massa. 




Solo con il ritorno (naturale o guidato) dei predatori, del lupo (che forse un giorno non lontano potrebbe arrivare da solo) e della lince, e poi delle aquile che oggi mi sembrano meno numerose di un tempo... si potrebbe forse ristabilire un più corretto equilibrio naturale ed evitare così ogni intervento da parte dell'uomo. Ma quanti problemi si creerebbero... quanti problemi sul territorio abitato, quanti problemi con gli allevatori... 



Pensavo di raccontare del mio incontro con i cervi sui versanti della Val del Monte nel Parco dello Stelvio ma mi sono lasciato prendere la mano e ho parlato d'altro... Ho parlato a ruota libera di caccia, di gestione della fauna, all'interno del Parco e fuori dai suoi confini... con una serie di soggettive considerazioni, opinioni personali e qualche provocazione che probabilmente al lettore interesseranno ben poco.

Lascio comunque alle mie fotografie il compito di dire, al posto mio, dell'incontro con i cervi nel bel Parco, durante la mia escursione in Val del Monte, alla fine della prima decade di settembre.



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