Mattutina camminata risalendo la
ciclabile della Val di Sole, sul suo tratto finale, quello che dal
ponte sul fiume Noce, il Ponte del Mulino di Comasine, raggiunge
Cogolo di Pejo, dove la pista ha termine. Una passeggiata di un paio
di chilometri, forse meno, da moltiplicare per due, tra andata e
ritorno, con in più poche centinaia di metri per alcune brevissime
deviazioni su alcuni viottoli di campagna, per esplorare i più
prossimi dintorni della ciclopedonale.
Superato il ponte sul Noce (ho
parcheggiato l'auto nei suoi pressi) affronto subito una breve salita
che “taglia” le gambe (nella sua prima parte, più dolce, la
salita coincide con la strada provinciale per Comasine) ma poi,
fortunatamente, posso proseguire in totale tranquillità, su di un
tracciato appena ondulato che scorre agevole tra vasti prati, ancora
rigogliosi nonostante la stagione sia ormai avanzata. Sullo sfondo mi
accompagna la vista dell'imponente massiccio del Monte Vioz che
chiude la Val di Pejo. Ai suoi piedi, sull'erto versante, scorgo il
Colle di San Rocco e, nitidissimo, poco sotto, l'antico abitato di
Pejo Paese. Alle mie spalle ho la profonda, verdeggiante incisione
della parte iniziale della Val di Pejo e in lontananza creste
rocciose e cime azzurrine, una cornice appena sfiorata dal sole del
mattino, che emerge dalle scure foreste, ancora in ombra, dell'Alta
Val di Sole. Sono i monti che sovrastano il paese di Pellizzano e la
conca di Ossana da dove si diparte la Val di Pejo. Alla mia
sinistra, in alto sull'erto pendio, si eleva, ben riconoscibile tra
la fitta vegetazione, il campanile della chiesetta dei minatori, la
chiesetta di Santa Lucia.
Proseguo e subito mi attraggono le
rustiche sagome di alcuni masi (Masi di Contra?). Sono vecchie
costruzioni che raggiungo rapidamente e che mi soffermo ad osservate
sia dalla ciclabile sia da una mulattiera che da essa si diparte
permettendomi di accostarmi maggiormente. Sono edifici frutto
dell'organizzazione economica del passato, basata quasi
esclusivamente su di una agricoltura povera, di pura sussistenza o
quasi, un'organizzazione che si è stratificata nei secoli
adeguandosi alla durezza dell'ambiente montano. Nel fienile di questi
masi si immagazzinava il foraggio raccolto nei prati circostanti e
con esso si alimentavano i bovini, temporaneamente alloggiati nella
stalla sottostante. A scorte esaurite il bestiame veniva trasferito
più a valle in altri masi o direttamente nella stalla del paese. Si
potevano così sfruttare anche i pendii a prato più lontani
limitando il tempo da dedicare al trasporto del fieno e quindi
riducendo il lavoro e la conseguente fatica.
Le mutate condizioni economiche hanno
fatto venir meno l'originaria funzione di questi edifici che, oggi,
servono tutt'al più come depositi di attrezzi vari o magazzini per
antichi utensili o altro. Questi masi sembrano quasi in spasmodica
attesa... sembrano aspettare solo un radicale intervento che li
consolidi, che li ristrutturi, adibendoli ad eleganti alloggi per
turisti... secondo i canoni della nuova fiorente economia.
Solo uno di questi masi appare ancora
pienamente utilizzato seguendo gli antichi criteri. All'esterno di
questo rustica costruzione, in un prato ben racchiuso da una robusta
staccionata, pascolano tranquille alcune capre... “Che ci sia
ancora qualcuno che non riesce a distaccarsi mentalmente dal tempo
che fu? Qualcuno che, attanagliato dalla nostalgia del tempo passato,
ha deciso di impegnarsi a perpetuare le antiche pratiche agricole,
magari solo come passatempo?” Pratiche agricole e di allevamento
che sembrano perdersi nel tempo, marginali attività, ormai
abbandonate da tutti o quasi da tutti... considerate distantissime
dall'odierno modo di vivere... trascurate da tutti o quasi da
tutti...
Procedendo oltre i rustici masi,
costantemente in vista delle cime del gruppo Ortles-Cevedale che si
stanno coprendo di spesse nubi, posso distintamente osservare, sul
versante opposto, l'abitato di Celledizzo nella sue estesa interezza.
Poco più avanti avanti il bosco inizia
a prendere il posto dei prati.
Ora bosco e prato si alternano lungo il
percorso regalandomi scorci vivacemente colorati.
Nell'ultimo tratto di pista il bosco si
fa sempre più più fitto, i gruppi di latifoglie si fanno più
numerosi e i colori dorati delle loro chiome in controluce creano una
atmosfera magica fatta di contrasti, di luci intense e di ombre
profonde.
Ma ormai sono quasi al termine della
mia camminata o almeno della sua prima parte, dell'andata. La pista
adesso precipita, quasi all'improvviso, verso il fondovalle. Una
ripida, breve, discesa e mi trovo in località Le Plaze alla
periferia del paese di Cogolo. Il Paese è ora ben visibile e,
volendo, subito raggiungibile al di là del ponte sul Noce. Ma per me
è giunta l'ora del ritorno... Rientro calpestando la medesima
strada....
Guarda tutte le foto in “Google Foto”
La pista ciclabile della Val di Sole
parte da Mostizzolo e sale per 35 Km fino a raggiungere Cogolo di
Pejo dove termina (o al contrario da Cogolo discende...). Segue il corso del
Fiume Noce ricalcando il tracciato di antiche strade poderali, di
collegamento o arginali. Il percorso non è particolarmente
impegnativo superando complessivamente un dislivello di soli 560 m.
Nel post descrivo solo l'ultimissimo
tratto della ciclabile, tratto che ben si presta ad essere percorso
anche a piedi perché sostanzialmente pianeggiante e
paesaggisticamente attraente. Il tratto che lo precede è molto più
ripido e selvaggio salvo farsi più abbordabile e quindi adatto anche
alle passeggiate, più a valle, nei pressi del Forno di Novale e così
via oltre il Forno fino a Fucine dove la Val di Pejo sbocca nella Val
di Sole.
Ma ora un'ultima considerazione o
meglio due domande che spesso mi pongo: “Perché in Val di Sole,
con una così stupenda pista ciclabile a disposizione, molti amanti
della bicicletta si ostinano a pedalare sulle strade statali e
provinciali creando situazioni pericolose per loro e per gli altri?
Perché alcuni di loro, sempre più numerosi, invadono non solo le
strade bianche o forestali di montagna (il che è ancora
comprensibile e accettabile) ma pure gli stretti e strapiombanti
sentierini di montagna? Perché?” Io non vedo risposte che possano
essere minimamente giustificatorie e ragionevoli...
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