Ma che bel castello...


<< Ma che bel castello ! >> Veramente un bel castello il castello di San Michele che con il suo mastio, alto e severo domina dall'alto d'una balza dirupata la plaga di Ossana in Alta Val di Sole, dove la vista si apre verso la Val di Pejo e le cime dell'Ortles-Cevedale. Un bel castello, un castello da contemplare, da ammirare da vicino come da lontano, da ammirare sia da oriente che da occidente, sia da sud che da nord... Un castello bello anche da immortalare fotograficamente, sia con il sole nascente, che con la luna, sia con la nebbia che con la neve, sia con il temporale che con l'arcobaleno.. Un castello bello, un castello che emoziona, che “parla" all'anima e all'immaginazione. Un castello che “parla”... che “parla”, sia a di chi lo guarda dai suoi dintorni sia, soprattutto, a chi vi entra oltrepassando il suo ponte levatoio. Un castello che, stando al suo interno, sbigottisce davanti all'imponenza della suo mastio, sorprende per l'estensione dei resti del suo palazzo, incanta per l'ampio panorama che offre dalla sommità del suo torrione come dal bordo della sua cinta muraria.



Il castello di San Michele è veramente un bel castello, un castello che “parla” a tutti, “parla” al “cuore” della gente del posto come ai “cuori” del turista affezionato e del visitatore curioso. Ma il castello di Ossana non “parla” solo al “cuore”... solitamente il castello è in grado di parlare pure alla “testa”, alla “mente” di chi lo visita. E “parla” spesso. “Parla” alla “testa” con la voce narrante dell'accompagnatore turistico, ma solo a chi vuole conoscerne le origini, la storia, le leggende. “Parla” alla “testa” con le mostre e le illustrazioni multimediali allestite nei suoi piccoli padiglioni. “Parla” alla “testa” e all'”anima” con i concerti e gli spettacoli teatrali che, di tanto in tanto, si tengono nei suoi scenografici cortili.
“Cuore” e “mente” non possono che essere grati a chi ha provveduto a riportare in vita il bel castello, consolidandolo e restaurandolo, rendendolo visitabile, eliminando ingombranti intralci alla sua vista, valorizzandone la veduta anche di notte con una ben ponderata illuminazione. Come devono essere grati a chi lo anima e valorizza con eventi (culturali) di qualità degni di essere ospitati in un sito così bello e importante.



<< Ma che bel castello... marcondiro ndiro ndello...>> Purtroppo però, c'è anche un castello che, ai miei occhi, appare un po' meno bello... Un castello che mi costringe a togliere il punto esclamativo (noto in passato come punto ammirativo) dal mio entusiastico “ma che bel castello ! ” per sostituirlo con l'irriverente “marcondirodirondello” della arcinota infantile filastrocca, della nenia che, inevitabilmente, mi viene di canticchiare in continuazione quando visito il castello o transito nei suoi pressi durante i periodo natalizio ma non solo... Un tormentone che canterello sottovoce, con leggerezza, con un ironico provocatorio sorriso, vedendo come il bel castello venga talvolta indotto a “parlare” non più al “cuore” e alla “testa” delle persone ma alla loro “pancia”... venga banalizzato, costretto ad adattarsi ad un ruolo che, secondo me, non gli si confà (mi vien da dire ad un ruolo che non è dignitoso...).
Ma quando accade tutto ciò? Il bel castello è costretto a parlare alla “pancia” della gente (in senso figurato ma spesso anche in modo molto concreto) "quando", al suo interno, vengono allestiti eventi di grande richiamo, eventi “consumistici” seguendo la moda del momento o promozionali di varia natura, al fine di attrarre un numero sempre maggiore di visitatori entro le sua mura (ospiti probabilmente ben poco interessati al sito che li accoglie) o, al contrario, "quando" il bel castello è costretto a prestarsi come scenografica sede per il buon esito commerciale di tali mercantili avvenimenti, che, pur interessanti e importati, dovrebbero però avere un'altra collocazione... E i due “quando” si integrano perfettamente in una deprecabile sinergia... in confusa contrapposizione con attività ed eventi senza alcun dubbio molto più qualificanti. Ma di questo ho già detto più volte in altri miei post...


Altre foto del bel castello al sorgere del sole in Google Foto




Brina



Quando nel mio giardino le foglie delle betulla, del pioppo tremulo, del sorbo, di ciliegi selvatici, dei nocciolo e dell'acero, perdono la loro estiva freschezza, la loro verde brillantezza ed iniziano lentamente ad ingiallire mi si stringe il cuore. Quando poi, al levarsi del vento, si staccano dai rami e si depositano tutte al suolo, mi avvolge un velo di malinconia, un velo che non mi abbandona più. Quando infine il letto di foglie brune e marcescenti, si adorna di gelidi ricami, di candidi merletti, per me arriva il tempo della rassegnazione, della triste rassegnazione che mi accompagna durante i giorni del distacco dalla “mia” valle, durante i giorni della mia consueta “migrazione” autunnale...


Per la prima volta, all'inizio di novembre, la temperatura, durante la notte, è scesa sotto lo zero. L'umidore si è congelato ed è comparsa la brina. Brutta avvisaglia dopo le tiepide giornate d'ottobre. Un accadimento che, comunque, era atteso da tempo, del tutto coerente con l'inevitabile avvicinarsi dell'inverno. Non mi resta che prendere atto che, con il freddo ormai alle porte, è giunta l'ora di lasciare, almeno temporaneamente, la valle. Sì, è proprio giunta l'ora, volenti o nolenti, di traslocare in siti climaticamente più miti... Ma non immediatamente... Non prima di aver completato i lavori autunnali nel mio orto e nel giardino di casa.


All'aperto, di buon mattino, il freddo scorre sulla pelle, punge viso e mani, rallenta i movimenti ritardando l'opera di sfoltimento dei piccoli cespugli del mio giardino e di potatura dei tre noccioli cresciuti smisuratamente. Mi trovo sul prato di casa, tutto gelato. Cammino su di un manto di foglie scure e marcescenti che irrigidite dal freddo scoppiettano spezzandosi sotto le suole. Mi muovo a lungo, qua e là, vagando da una pianta all'altra, armato di cesoie, di troncarami, perfino di motosega... Mi sposto intirizzito nella gelida ombra di una mattinata serena ma ancora senza sole. Sì, senza sole, perché il sole, nel mio giardino, in autunno e ancora di più in inverno, si vede ben poco. Con l'avanzare della stagione fredda compare sempre più tardi e scompare sempre più presto fino a farsi vedere solamente per pochi minuti verso la fine di dicembre.


Solo chiari e scuri nel mio prato durante questa rigida mattinata priva di sole. Ma ecco che, quando meno me lo aspetto, un nuovo tepore invade il giardino: è il tiepido calore dei raggi del sole autunnale che lentamente è emerso dai monti affacciandosi sulla valle e anche sul mio viso. Magici raggi che, seppure deboli e radenti, rianimano il paesaggio, ridonano la vita al mio smorto terreno. Donano colore, donano luce, donano luminosità alle spente trasparenze dei cristalli di ghiaccio che sono sbocciati, durante la notte, sulle foglie rinsecchite. E allora, davanti a questo inatteso spettacolo, conviene disfarsi del senso del dovere, interrompere il lavoro, lasciare a terra cesoie e troncarami e accogliere il dolce piacere di passeggiare sul manto di foglie fruscianti osservando, ammirando e, perché no, fotografando...


A poco a poco la luce nuova raggiunge anche gli angoli più bui sfiorando dolcemente ogni piccolo cespuglio, ogni rigido stelo o ruvido cespo erboso emergente dall'uniforme tappeto scuro. Così come raggiunge e accarezza pure quelle foglie che, posatesi in ritardo sul letto compatto e brunastro che riveste il prato, ancora mantengono la loro vivace colorazione d'inizio autunno. Lamine sottili e sontuose dai bordi nettamente delineati da scintillanti e aguzzi cristalli di brina. Foglie sparse dai contorni che si accendono e brillano ai delicati raggi radenti del sole di novembre.


L'ombra delle conifere sempreverdi e dei tronchi, dei rami, dei polloni delle latifoglie si distendono sul prato difendendo dal tepore del sole la bianca brinata, la fioritura di gelo notturno. Ma le ombre si spostano, si accorciano, si ritirano. E' il gioco del sole che, seppur lentamente, si innalza, si muove... Le aree illuminate, intiepidite dal sole, si spostano ovunque e la brina inizia a dissolversi anche negli cantucci più protetti e nascosti. La bianca coperta si squaglia, rapidamente. I luccichii svaniscono. Il sole è più alto, i suoi raggi, sempre più caldi e penetranti, trapassano il liso e bruno tessuto autunnale. Cesoie e troncarami ora sembrano galleggiare. Posati a terra sembrano nuotare in un mare di foglie bagnate, quasi fradice La brina si è sciolta. Tutta.
Riposta la reflex, raccolgo i miei attrezzi, li asciugo e riprendo il lavoro.




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A Malga Strino con la prima neve di novembre


Neve. Molta neve. Molta neve come a novembre non si vedeva da tempi “immemorabili”. Molta neve in quota ma anche sul fondovalle. Neve leggera, soffice e asciutta ma anche neve pesante e bagnata, talvolta neve frammista alla pioggia o alternata alla pioggia Abbondanti precipitazioni nevose sulle piste da sci in quota durante l'intero mese di novembre per la gioia degli “sportivi” e soprattutto degli “impiantisti e affini” che, dopo anni di “magra”, di neve solo artificiale per buona parte della stagione turistica, possono nuovamente sperare (o illudersi) che il cambiamento climatico non sia così drastico e definitivo come si sostiene. Ma... chissà... si usa dire che “una rondine non fa primavera”... Non sarà magari che queste anomale intense nevicate autunnali siano un'ulteriore allarmante effetto della mutazione climatica in atto?
E' sotto gli occhi di tutti che gli eventi meteorologici estremi di varia natura si stiano facendo sempre più frequenti. La scienza è ormai certa che l'andamento climatico cui siamo abituati si stia guastando, si stia rapidamente modificando. A queste mutazioni ci dobbiamo adattare (e soprattutto dobbiamo evitare di incentivarle ulteriormente immettendo nell'atmosfera altro gas serra). Resilienza quindi e, conseguentemente, tra le molte altre cose da fare, anche iniziare a promuovere un turismo diverso con uno sguardo non esclusivamente all'oggi e al domani ma anche al dopodomani, rivolto a quel futuro che inevitabilmente ci attende.

Ma sto divagando: non è di questo che intendevo scrivere... Quindi accantoniamo subito il “cambiamento climatico” e senza tergiversare “ritorniamo al dunque”, a parlare della mia breve escursione autunnale sui pascoli della Val di Strino ammantati di bianco, coperti dalla prima neve di novembre.

La neve scesa durante i primi giorni di novembre ha imbiancato la montagna fino a 1500-1600 metri di quota stravolgendo improvvisamente il paesaggio dopo le splendide e sempre soleggiate giornate d'ottobre. Un irresistibile invito ad una “uscita” diversa, un'ultima uscita, un'ultima escursione sui “miei”monti prima di abbandonarli, prima di “migrare”, almeno temporaneamente, verso climi più miti...



Ieri nevicava ma questa mattina splende il sole. Parcheggiata l'auto lungo la statale del Tonale, a metà strada tra Vermiglio e il Passo, imbocco la strada sterrata che porta al forti austroungarici Mero e Zaccarana. Mezz'ora di cammino o poco più e, dove si apre la valle di Strino, abbandono la strada militare e mi inoltro sui pascoli. Pascoli immacolati. Il verde dell'erba è ben celato da un sottile strato di neve fresca. Una brevissima salita e il panorama che mi si presenta è un “panorama mozzafiato”... come si suol dire. Un panorama veramente mozzafiato, un panorama stupendo.... Immerso nel sole del mattino mi godo la candida vista della Presanella e delle vette circostanti e, quasi in primo piano, il festoso paesaggio dei versanti boscosi. Boschi di resinose, boschi di abeti sempreverdi e di larici rugginosi. Boschi brillanti, spruzzati di neve luminosa che dona profondità all'insieme sottolineando il disegno di ogni singola pianta.



Proseguo. Percorro la stradina che scorre pianeggiante al bordo dei prati, alla base del ripido versante boscoso sulla sinistra idrografica della valle. Poi mi immetto sul viottolo principale che sale ripido nei pressi del rio fino alla malga. Mi fermo spesso per guardarmi attorno. Ne vale veramente la pena. Sosto per fotografare il paesaggio e per “sbinocolare” alla ricerca di qualche ungulato, capriolo, cervo, muflone, camoscio o stambecco che sia... Esploro il bosco di conifere, il folto dell'ontaneto, le alte e brulle praterie ai piedi delle creste e della cime del Redival. Nulla. Ma le tracce dei selvatici ci sono, orme sulla neve, sporadiche in verità, a testimoniare il passaggio notturno dei cervi che, nottetempo, hanno attraversato la valle spostandosi da un versante all'altro.




Sono arrivato, sono nei pressi della Malga Strino. La neve che copriva l'ultimo tratto di strada non era molto alta, solo una quindicina di centimetri, sufficiente comunque, a rendere la mia salita alquanto gravosa. Sono stanco ma molto soddisfatto. Il paesaggio è attraente, particolare ai miei occhi, per non dire unico. Vedere gli edifici della malga coperti di neve fresca fa un certo effetto considerando che il contesto paesaggistico che li circonda non è invernale ma ancora decisamente autunnale, luminosissimo e ricco di colori intensi e vivaci ben diversi dalle smorte tonalità della stagione più fredda..
Supero la malga e, incoraggiato dalla modesta quantità di neve, mi avvio sul sentiero che porta a i Laghetti di Strino e al Redival o, a scelta, alla Città Morta. Non è certamente mia intenzione raggiungere quelle lontane mete, mi basterebbe salire ancora un poco, un'oretta, forse meno, ma, purtroppo, devo, quasi subito, riconsiderare il mio proposito. La neve subito più alta e soprattutto un vento fortissimo che scende gelido dalle cime mi inducono a rinunciare ad ogni ulteriore salita. Strano, perché poco più a valle, nei dintorni della malga, non spirava un alito di vento. Lascio la zona e inizio la discesa immerso nella neve e in un silenzio che impressiona: penso all'estate, alle lunghe giornate estive quando quassù fischiano numerosissime le marmotte, risuonano i campanacci delle mucche al pascolo, abbaiano i cani dei malgari e talvolta schiamazzano, fin troppo, torme di ragazzini.



Scendo a valle seguendo il medesimo percorso della salita. Mi arresto di tanto in tanto, attratto dai giochi di luce che il sole basso d'inizio novembre crea filtrando con i suoi raggi radenti tra i rami giallo-rossastri dei larici in veste autunnale o tra i bassi cespugli innevati e ghiacciati di ontano verde.
Ben presto la ripida discesa ha termine e mi ritrovo sulla pianeggiante stradina che costeggia i pascoli più bassi, pascoli che, suppongo, un tempo non lontanissimo, venissero falciati, venissero intensamente sfruttati. Ora sono bianchi di neve ma in primavera su questi prati pascolano i cervi, i caprioli e soprattutto i mufloni. Poi, più tardi, in estate, vi pascolano le mucche della malga in compagnia delle marmotte che qui hanno le loro tane.



Rieccomi nuovamente in fondo ai pascoli, nei pressi della strada militare che mi riporterà a valle. Prima di imboccarla, prima di infilarmi nel bosco fitto non posso non sostare ancora una volta conquistato dalla vista delle cime che mi si stagliano di fronte. E' una vista ben diversa da quella di due ore fa, quando stavo salendo alla malga. Ora su quelle vette imperversa una vera tormenta, una bufera che solleva turbini di neve incoerente, intense velature bianche volteggianti nell'azzurro del cielo. Uno spettacolo unico, da non perdere, da fotografare ripetutamente. Comunque un evento per certi versi atteso: le sue prime avvisaglie, mi avevano già colto, poco prima, a monte della Malga di Strino facendomi rinunciare ad ogni ulteriore salita.



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Brevi camminate nell'autunno che avanza



E' bello passeggiare nei dintorni del paese, vincere l'apatia e inoltrarsi sui soliti sentieri, sentieri conosciuti da tempo... ma che ora, in autunno, sono resi nuovi, sempre diversi con il mutare, di giorno in giorno, della luce, dei colori, degli odori ma soprattutto della situazioni meteorologica.

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Val Piana


Accolgo la nuova stagione, la stagione autunnale che è iniziata da pochi giorni, con una breve scarpinata, nell'aria fresca del mattino, ai piedi dei monti che sovrastano il paese di Ossana. Quale meta migliore della Val Piana per questa mia prima uscita autunnale?
Imboccate le scorciatoie raggiungo rapidamente il capitello di S. Antonio dove la valle inizia, dove si apre alla vista, mostrando il torrentello che l'attraversa, i suoi pascoli e i suoi boschetti pianeggianti e, sullo sfondo, le cime di Caldura e del Giner appena sfiorate dal sole.


Tutto è silenzio. Un silenzio irreale dopo l'andirivieni estivo di turisti appiedati o in automobile. Non più campanacci di mucche al pascolo... nè l'abbaiare dei cani da pastore, né il richiamo gracchiante dei malgari. Dal fitto del bosco mi giunge, ma solo di tanto in tanto, lo stridore di una motosega e il battere della scure: è il valligiano che, previdente, taglia e accumula legna per riscaldarsi durante i freddi mesi invernali.
Avanzo lentamente lungo la strada bianca che costeggia il rio e i primi prati ancora in ombra mentre il sole inizia ad accarezzare gli alberi sulla sommità della “Piramide” e sulle creste dei “Crozi dei Meoti”. Poi, quando, di lì a poco, il sole supera il crinale, i pascoli fradici di rugiada vengono inondati di luce, risorgendo a nuova vita. All'improvviso si animano, mutando radicalmente il loro uniforme, opaco e ombroso aspetto.
Quelli che si incontrano per primi sono prati paludosi, prati segnati da alte erbe morte e secche, intrise di guazza e ornate da corone di ragnatele luccicanti al sole. Ben presto però su questa zona umida inizia ad aleggiare una leggera nebbiolina, una inconsistente foschia in grado di offuscare la brillantezza del pianoro paludoso.



Più avanti i prati, ben concimati e ben pascolati durante la bella stagione, sono ancora verdissimi ma tra le basse erbe emergono, qua e là, gli alti scheletri rinsecchiti dei cardi infestanti e le chiazze di ortiche appassite e infreddolite. Gli ontani e le betulle che li delimitano conservano ancora le loro verdi chiome ma le foglie indurite dal fresco della notte iniziano ad accartocciarsi, a raggrinzirsi opacizzando la loro vivida colorazione estiva.
Lasciate le distese erbose penetro nel bosco, in fondo alla valle, seguendo il sentiero per Bon. In questa zona, sempre fredda, domina l'ombra e il sole, in questa stagione, si fa vedere solo di pomeriggio e solo per pochissimo tempo.
Lo stretto tracciato si snoda sinuoso tra muschi bagnati e verdi, felci brune e appassite, cespugli screziati, aceri già dorati, abeti sempreverdi e larici che accennano ad arrugginire. La luce diffusa tenue ed omogenea dona a questo umido ambiente una malinconica suggestione... il profumo di terra bagnata, di funghi e foglie marcescenti, di vegetazione fradicia, che quassù si respira ovunque conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che, almeno in fondo alla Val Piana, l'autunno è veramente arrivato.

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Fil – Poia di Cortina


Una decina di giorni dopo esploro i dintorni del “Fil” poco a monte di Fucine, lungo la sponda destra del torrente Vermigliana. La località viene anche denominata “Spiaz dei spini” per i cespugli spinosi di crespino (Berberis vulgaris) che un tempo vi vegetavano in grande numero. Quei caratteristici cespugli oggi sono del tutto scomparsi in seguito a dei lavori, non so quanto necessari o comunque utili, di disboscamento, allargamento e livellamento dello spiazzo.


Dal Fil, seguendo una strada forestale, che, più avanti, raggiunti dei pendii erbosi, si fa strada rurale, si può raggiungere la Poia di Cortina e quindi il paese di Vermigio. Ed è quello che ho fatto alla fine della prima decade di ottobre, durante un soleggiatissimo e tiepido pomeriggio.


Camminando lungo quella stradina, nel bosco e al margine dei prati, nel sole declinante ma ancora luminosissimo, mi sono sentito  partecipe della metamorfosi ambientale in atto. Aceri, betulle, salici, noccioli... avevano cominciato a mutare il loro usuale, piatto aspetto estivo, stavano cambiando il loro vestito... Nella quieta pace autunnale si stavano addobbando a festa, iniziavano ad indossare abiti luminosi e policromi. Un incantesimo, una coloratissima magia che coinvolgeva anche la vegetazione del versante opposto, il versante solatio della valle, dove tra il giallo ancora incerto dei pioppi tremuli spiccava il rosso già intenso dei ciliegi selvatici così numerosi su quei ripidi pendii... i pendii delle Pendege.

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Pendege

Ed eccomi appunto a calcare, verso la fine di ottobre, proprio la stradina delle Pendege che taglia il versante sinistro della valle tra Vermmiglio e Fucine, scorrendo quasi parallela alla strada statale del Tonale. Il tempo meteorologico non è dei migliori, nubi e nebbie basse e, di tanto in tanto, una sottile pioggerella.


Questo non mi impedisce, però, di ammirare lo spettacolo dell'esplosione dei colori, le fiammate giallo oro, aranciate e rossastre della vegetazione autunnale che si sono accese quasi in contrapposizione alle sempreverdi peccete del versante opposto che si dileguano, tra biancastri vapori, sfumando tra le cime di Barco e del Tonale.



Una tavolozza policroma che, però, in assenza di sole, manca della consueta vivacità. Un dipinto ad acquerello più che una brillante tela ad olio... una visione comunque vistosa, un incantesimo che si è acceso quasi all'improvviso nell'aria frizzante dei monti, nel silenzio ottobrino, quando la confusione estiva è solo un ricordo. Un'esplosione di splendore, un gran finale, che, seppur affievolito dalla mancanza del sole, sembra rievocare i fasti primaverili, quasi fosse una nuova coloratissima e vivacissima fioritura. “Fiori” non più bianchi ma rossi sui ciliegi selvatici, diversamente gialli sul pioppo tremulo, sul nocciolo, sull'acero, sulla betulla, bruno rossastri sui faggi e sui larici... bacche rosso lucente sul sorbo, sulla rosa canina, sul crespino, sul biancospino... Sì, l'autunno è veramente un artista, un paesaggista, alle prese con un'infinita gamma di colori, di tinte decise ma pure alle prese con tonalità lievi per creare sfumature e velature leggere nel rifinire delicatamente la sua opera.

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Derniga

All'inizio di novembre mi ritrovo a camminare lungo i sentieri che, tra Fucine e Ossana, dalla località “Sant” o “Bachea”, che dir si voglia, salgono al “Belvedere e da qui, immettendosi in una larga strada forestale, raggiungono l'Orto Botanico nel “Bosco Derniga”. Il tempo è decisamente brutto, il cielo è grigio, densamente coperto da nuvoloni compatti. Di tanto in tanto pioviggina pure... Il sole abbagliante che qualche settimana prima ravvivava i ricchi colori autunnali è solo un ricordo. Nel bosco di conifere, che copre l'intera zona, le tinte sono spente, opache, spesso attenuate dalla nebbia che si insinua tra gli alberi dopo essersi posata sui pendii, penetrata in ogni anfratto, in ogni sentierino, in ogni più stretta vallecola. Comunque, tra le sagome scure degli abeti rossi e bianchi, emerge ancora qualche macchia di colore più vivace. Sono i radi cespugli del sottobosco, i noccioli, gli aceri e i saliconi, che, ben riparati dalle folate di vento, ancora resistono mantenendo una buona parte delle loro foglie, non più verdi e brillanti ma giallastre e opache.


Tutto è silenzio nei boschi della Derniga. Non un cinguettio di uccelli, nessun vociare di turisti in visita al “Giardino botanico”... Nella nebbia, che vagabonda tra gli alberi, mi giunge ovattato il rintocco della campana della chiesa di Ossana. Undici tocchi. E' ora di rientrare, di scendere a valle. Ma quanta malinconia...


Quanta malinconia... Sì, tanta malinconia perché si avvicina anche l'ora di “migrare”, di lasciare la “mia” valle alpina, di scendere dove il clima è più mite. Che tristezza... Il distacco è ormai imminente... Il mio cupo rimuginare è enfatizzato dall'atmosfera tardo autunnale, fredda, umida e nebbiosa che mi avvolge. Ma poi... Poi, all'improvviso, un intenso gracchiamento mi distoglie dalle meste elucubrazioni. In alto, sopra di me, contro le nubi compatte volteggia uno grande stormo di gru cenerine. Provengono dall'Europa continentale e sono dirette chissà dove, verso terre più calde. Pure loro stanno migrando... Girano e rigirano a lungo, ispezionano dall'alto l'intera Alta Valle e in profondità pure l'intera Val di Peio. Sembrano incerte su come procedere, disorientate. Che abbiano smarrito la loro abituale rotta migratoria? Si allontanano e si avvicinano, appaiono e scompaiono a lungo fino a dileguarsi definitivamente. Lo stormo di gru ha finalmente scelto, ha individuato la strada corretta, la giusta via, e lascia i cieli della Val di Sole diretto dove l'inverno è meno rigido. Come le gru anch'io migrerò temporaneamente, come loro, durante i freddi mesi invernali, lascerò quella che considero la “mia” terra... La lascerò con nostalgia ma anche consapevole di doverlo fare e fortunato di poterlo fare...



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I colori dell'autunno nel rivo del "Fil"




Al limitare della stretta fascia di bosco che si estende sulla sponda destra del Vermigliana a monte del pianoro del “Fil” (altrimenti denominato “Spiaz dei spini”) tra Fucine e Vermiglio sgorga una piccola sorgente perenne. E' una vena d'acqua che affiora tra i noccioli ai piedi di un ripido prato e che, raccogliendosi in un piccolo rigagnolo, dopo un breve serpeggiante percorso tra alte erbe, cespugli ed abeti, si riversa nel torrente.


Lungo gli umidi e sabbiosi margini del suo percorso, all'inizio della primavera, sbocciano numerosi i primi fiori, sono gli stupendi fiori gialli del farfaro (Tussilago farfara). In estate poi, non è raro imbattersi in qualche biscia dal collare (Natrix natrix) ma pure in qualche bel porcino. Ora, in autunno, ci dobbiamo accontentare, si fa per dire, della sola vista dello scorrere delle sue limpide acque tra una bruna e bagnata lettiera di foglie di nocciolo distesa ovunque nei pressi del rivo. Distesa fino ad occuparne il letto, ostruendolo con delle barriere che ne ostacolano il normale deflusso.


Si vengono così a creare dei minuscoli bacini, degli slarghi dove l'acqua è costretta a rallentare, è costretta ad arrestarsi per alcuni istanti, ad allargarsi trasformandosi in una piatta superficie riflettente che rimanda le immagini del bosco, le immagini dei tronchi e dei grossi rami che la attorniano.


Sono immagini cupe, immagini di una selva fitta e ombrosa ma sono anche immagini ravvivate da inaspettati sfavillii, da bagliori argentati e dorati che le acque appena increspate riverberano soprattutto verso il tramonto quando i raggi radenti riescono a filtrare tra i cespugli impattando sulle acque appena increspate.


Ma non solo, il sole del pomeriggio impatta anche sulle fronde, sul fogliame degli abeti e dei noccioli, verde brillante il primo e giallo autunnale il secondo che assieme a qualche porzione di cielo si specchia nel rivo, nelle sue pozze, arricchendole di mille screziature variopinte, ornandole di mille grafismi che si decompongono e ricompongono in un gioco senza fine. Una visione dinamica impossibile da fissare in statiche immagini fotografiche.


E così lungo l'intero corso del rigagnolo. Lungo il suo intero percorso, peraltro molto breve perché le sue acque ben presto si riversano nel Vermigliana. Ma la magia dell'autunno non cessa qui, si ripete ancora, con diverse modalità, anche sulla superficie del torrente. Anche sulle acque ondulate del torrente si diffondono mille bagliori. Balenii che, in rapida successione, compongono e subito scompongono delle movimentate creazioni astratte.


I caldi colori autunnali del bosco che fiancheggia il torrente si specchiano sull'acqua. Sono le tinte ramate dei larici, delle roverelle, delle erbe rinsecchite, che, con il bruno degli ontani, il giallo dei noccioli e il verde degli abeti e dell'erba ancora vigorosa.... vibrano riflesse dalla superficie increspata del torrente...




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Panorami autunnali in Val di Peio



E' una limpida mattina di fine ottobre, una mattina perfetta per salire in Val di Pejo, per camminare nell'aria frizzante del suo fondovalle, per scarpinare nel silenzio, sui suoi pendii finalmente affrancati dalla babele estiva.
Pochi giorni fa, all'improvviso, le selve, i pascoli e i prati della “Valeta”, come dell'intera Val di Sole hanno mutato il loro aspetto. Si sono cambiati d'abito: il verde uniforme dell'estate è in gran parte scomparso cedendo il posto ad una grande varietà di tinte, alle innumerevoli, accese tinte dell'autunno che, ben si sa, sono quelle che io amo di più...
La valle in brevissimo tempo si è ridipinta, si è rivestita di nuovi colori caldi e decisi. Sono le foglie degli alberi e dei cespugli che si sono rapidamente colorate di rosso, di arancione, di giallo, di bruno. Quasi un gioioso commiato dalla loro valle, un multicolore addio... In ogni caso un ultimo vitale sussulto prima che il vento le strappi dai rami, le soffi via trascinandole in alto, per poi deporle sulla terra nuda dove la neve le coprirà per sempre...



Sì, è proprio così... questo è l'ultimo incantevole spettacolo che il bosco ci dona prima del riposo invernale. Le piante si preparano al freddo ma lo fanno in allegria, lo fanno addobbandosi a festa, indossando abiti policromi quasi cercassero di allontanare la tristezza dei tempi grigi che le attendono. Una vana speranza... Una pura illusione... Già incombono le prime avvisaglie di ciò che le attende. E che attende tutti noi. La nebbia, la brina e la neve bussano alla porta, anzi già iniziano ad entrare per  poi non abbandonarci fino a primavera inoltrata. La nebbia che, quando cala, tutto offusca, vela, sfuma, che dissolve nel nulla anche la colorata vivacità autunnale. La brina che per ora imbianca solamente i pendii più freddi e permanentemente ombrosi e la neve che finora ha coperto solo le vette più alte ma che domani è destinata scendere più in basso, a raggiungere anche il fondovalle..




Ma guardiamo all'oggi... Oggi brilla un bel sole. Evitiamo quindi di meditare e di rattristarci pensando all'ormai prossimo declino invernale. Godiamoci invece la vista del magnifico paesaggio che ci circonda. Godiamoci questi giorni autunnali coloratissimi, vivaci nelle tinte... vivaci solo nelle tinte perché, fortunatamente, del tutto privi di rumori molesti. Vivaci sì, ma silenziosi e tranquilli. Godiamoci i colori decisi delle latifoglie, il rosso dei ciliegi selvatici, il giallo chiaro del pioppo tremulo, il giallo più intenso del nocciolo e della betulla… le macchie di colore ambrato, l'oro rossastro, dei larici immerso nel verde vigoroso degli abeti. Godiamoci a fondo questa calma autunnale magia...



Non esistono vocaboli adatti a definire tutte le sfumature di colore che le piante del bosco assumono in questo periodo. Le tinte si sovrappongono, si mescolano e si fondono ai nostri occhi originando una infinità varietà di tonalità per ciascun colore conosciuto.
Il verde compatto dell'estate, uguale ovunque, è solo un ricordo. Ora ogni pianta ha una sua spiccata individualità, si distingue nettamente dalle altre, da tutte quelle a lei vicine. Ogni pianta ha un suo colore diverso dal colore delle piante circostanti. Ed è così che ogni pianta contribuisce, con il suo particolare apporto cromatico, ad arricchire l'ottobrina tavolozza della valle, quella variopinta tavolozza che tanto ci affascina.
E poi il panorama, il paesaggio visto nel suo insieme... Il sole basso del primo mattino lo scolpisce, con i suoi raggi radenti. Allunga le ombre, sottolinea le sagome dei monti e i profili dei versanti, evidenzia i villaggi, le chiese, i singoli alberi… E quando, più tardi, il sole si alza, tutto cambia, le ombre si accorciano, tutto si illumina, tutto brilla, in un'esplosione di colore vivido e vivace. Il cielo blu cobalto, i prati ancora verdi, le chiazze policrome degli alberi, la neve bianchissima sui monti, nel loro insieme, donano alla “Valeta” un’incomparabile bellezza. Un bellezza che scalda il cuore ma che, inevitabilmente, volenti o nolenti, è pure fonte di malinconia per l'avvicinarsi dell'inverno, ineluttabilmente annunciato dal rapido sopraggiungere del freddo e dell'oscurità, appena dopo il tramonto, quando il sole scompare dietro i monti della “Valeta”.


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Il tragitto:  raggiunto il Forno di Novale si sale a Comasine percorrendo una comoda strada sterrata. Attraversata la zona più bassa del paese si sale brevemente verso la chiesetta di Santa Lucia (strada asfaltata) e, seguendo le indicazioni, si imbocca un viottolo di campagna in direzione di Cogolo. Raggiunto il bosco il viottolo si fa stretto sentiero. Poco più avanti il sentiero sbocca su un'ampia strada forestale . Su questa (scende verso Cogolo) si procede a lungo fino ad incrociare, di fronte a Celledizzo, una seconda strada forestale sulla quale si discende fino alla pista ciclo-pedonale. Su questa, che inizialmente scorre tra i prati e quindi in riva al Noce, si fa ritorno al Forno di Novale. Infine, procedendo poco oltre, sempre sulla ciclabile, si raggiunge il punto di partenza, nei pressi di Fucine.